martedì 26 luglio 2011

C'è speranza nell'incostanza?

Ah-ah, ho il titolo in rima!

Comunque.

Uno dei miei difetti peggiori è l'incostanza. Inizio qualcosa piena di entusiasmo, aspettative eccetera e poi la mollo a metà. Troppo impegnata a vivere la vita per fermarmi a raccontarla, dicevo una volta. Che da una parte è anche vero, visto che le ferie del mio ragazzo sono appena terminate e in questo periodo non ho scritto neanche una volta (avrei potuto? Non lo so). Ma gira e rigira sono sempre la solita, quella che sul blog ci scrive una volta ogni morte di papa.

Da adolescente non ero così, lo giuro. Avevo un diario vero, fatto di carta e inchiostro e non di bytes e html, un diario che aveva un nome e in cui ogni pagina iniziava con "Cara X" (X era il nome del mio diario, per indicare l'icognito... lo so lo so, ero strana forte a 15 anni), come se mi rivolgessi a qualcuno, a un'amica. Un diario che a volte rileggo, ma sul quale non scrivo da (oddio mi vergogno anche a scriverlo) qualcosa come quattro anni.

E poi sono un'asociale. Ho sempre scritto diari più per me stessa che per gli altri, per tener conto di sensazioni che altrimenti mi sfuggirebbero. O almeno, questa è l'intenzione di ogni volta. E invece toh, stavo per scrivere che non riesco mai a farlo, ma ho appena riletto alcuni post di un vecchio blog che mi hanno stupita. Una volta avevo un mondo dentro, avevo sensazioni e pensieri che dovevano necessariamente uscire, che premevano per venire allo scoperto. Adesso? Adesso non so più cos'ho, non esprimo, non analizzo, non metto nero su bianco. I miei post a volte mi sembrano quasi vuoti, privi di uno slancio autentico. Una volta ascoltavo anche più musica, il silenzio davanti al pc mi era intollerabile. Adesso invece è quasi la norma. Non riesco più a pensare a una canzone random. Ci metto un po' a scegliere la musica. Leggo meno libri, meno fumetti. Gioco meno con la playstation.

Non so com'è che sono finita a parlare di questo, non ne avevo intenzione, ma è in linea con il resto del post. La mia incostanza nel fare le cose. In ogni caso, nella testa ha iniziato a risuonarmi una canzone. Non so perché proprio questa, è una vecchia canzone alla quale non pensavo più da tempo, di quelle che quasi scordi che esistano, anche se un tempo ti sono piaciute tantissimo. E sono quasi soddisfatta, perché le parole stasera mi escono dalle dita senza controllo, vanno in una direzione tutta loro, si sono animate di vita propria come succedeva una volta.

In realtà è solo che adesso, adesso che avrei tanto di cui parlare, non mi escono le parole: ah-ah, questo è davvero in linea non solo con il post, ma addirittura con il titolo del blog. Le mie contraddizioni, la mia dipendenza dalle contraddizioni. Perché voglio continuare ad essere me stessa nel bene e nel male. Voglio che quella che discute di mutui e piani di ammortamento alla francese sia la stessa che ascoltava musica incazzata a tutto volume lanciando pensieri nel cyberspazio, come se qualcuno fosse davvero interessato a leggerli.

Ho letto blog di perfetti sconosciuti che mi hanno emozionata, commossa, fatta incazzare o sognare. E chissà se le mie parole hanno mai fatto altrettanto. Voglio credere di sì, sul vecchio blog ricevevo anche commenti tipo "adoro il tuo blog!", ma da brava stronza asociale non ho mai risposto. Ho sempre intrattenuto rapporti superficiali con gli altri blogger, e la cosa è... boh? Come qualificarla? Non lo so. So solo che sono così, estroversa al limite del fastidioso o introversa ai limiti dell'asociale. Non ho vie di mezzo. Bianco o nero. Contraddizioni, incoerenza e incostanza sono sempre state mie fedeli compagne.

Ma nonostante ciò non riesco a essere diversa, e neanche mi interessa. Chissà perché poi la gente fa tutta questa autoanalisi. O meglio, chissà perché la faccio io, da sempre. Chissà cos'è questo bisogno di essere conosciuta, capita fino in fondo. Forse perché il mio futuro marito è così saldamente ancorato alla realtà, mentre io invece sono così saldamente ancorata alle nuvole. Scendo a terra quando serve, ma per il resto del tempo è quassù che vorrei essere. Quassù, con le mie seghe mentali, a chiedermi se secondo Kant esisto se i venditori ambulanti sulla spiaggia non mi cagano nemmeno di striscio. A chiedermi che ci faccio nei ventotto anni, quando me ne sento al massimo sedici (venti, nei momenti migliori). A chiedermi se riuscirò a vivere da trentenne, da quarantenne, da madre, con tutto questo ciarpame pseudo inutile nella testa, con tutti questi pensieri vagamente deliranti ben piantati nel cervello in attesa di essere scritti.

Forse è proprio questo il senso del blog. O della mia intera esistenza, chi lo sa. Ai posteri l'ardua sentenza (mi faccio schifo da sola per la citazione di Manzoni, è banale, lo so, lo so).

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