sabato 23 novembre 2013

Mamma? Chi io?

Ciao puntino. Chi ti scrive è - ehm- la tua mamma.

Ok dai, non mi sento credibile così. Ricominciamo.

Mio caro melino, quella che ti scrive è una ragazzina nel corpo di una trentunenne che ha passato la vita a sentirsi inadeguata. Una pasticciona che pensa sempre di poter fare meglio, che non è mai contenta di se stessa, che vuole fare sempre di più. E che spera che questo non incida sulla tua vita. Sai melino mio, in questo momento sono bloccata tra il letto e il divano perché due notti fa ci hai fatto prendere un bello spavento, e io e tuo padre siamo saltati dal nostro lettone all'ospedale in un battibaleno. E ti penso. E ti scrivo.

La verità è che sono tua madre, anche se ancora mi sembra incredibile. Eppure lo sono. Una mamma. Sono tua madre dal momento in cui il display del test di gravidanza mi annunciava la tua presenza che già sentivo dentro di me. Sono la tua mamma dal momento in cui ho pianto per te, per la paura di perderti. E sono ancora qui a sperare che un giorno tu possa leggere queste parole, e magari pure prendermi in giro, perché faccio la parte della cinica ma sotto sotto sono una sciocca sentimentale.

Chissà se ti piacerò, o se penserai che sia stata una sfiga nascere da me. Da parte mia ti prometto che ci metterò tutto l'impegno possibile, che cercherò di essere la migliore mamma del mondo, che cercherò di essere alla tua altezza. Che cercherò di fare di te una brava persona. Che cercherò di renderti migliore di me.

Adesso ti saluto melino mio. Tuo padre è di là che mi impasta le piadine. Oh, lui ti piacerà vedrai. La prossima volta ti parlerò un po' di come ci siamo conosciuti e di quello che lui è per me. Arriverai in una famiglia piena di amore, te lo prometto.

Ti faccio tante carezze, ma solo perché i bacetti non posso ancora darteli. A presto melino mio, fai il bravo là dentro.

Vecchie abitudini e nuove presenze

Che poi lo sapevo, che avrei smesso di scrivere. Il tran tran quotidiano quasi mi fa dimenticare chi sono, chi ero, persa in un lavoro che prende sempre più tempo, che mi succhia tutte le energie, fisiche e mentali. Ma adesso il mio corpo mi impone uno stop. O meglio, mio figlio mi impone uno stop.

Ebbene sì, quel qualcuno che avremmo fabbricato noi, come cianciavo nell'ultimo post, ora è qui nella mia pancia a dirmi cosa posso mangiare, quanto devo muovermi, come devono svolgersi le mie giornate. In realtà anche le nottate, visto che una corsa in tangenziale alle quattro del mattino non l'avevo mai fatta, o meglio, non certo per correre verso un pronto soccorso in preda al panico, con il timore che la vita di mio figlio stesse affogando nel sangue. E invece lui era lì, con il suo cuoricino che batteva forte, quasi indifferente a tutto il casino che ci aveva involontariamente creato.

E così eccomi qui, bloccata tra letto-divano-bagno per almeno una settimana, a vomitare i miei pensieri nell'etere come una volta. Pensieri che d'ora in poi (chissà, forse per tutto il resto della mia vita) saranno orientati verso mio figlio.

E quindi...